“Specchio, specchio delle mie brame, chi è la più bella del reame?”. A questa domanda lo specchio rispondeva sempre: “Mia regina, in tutto il regno la più bella sei tu”. Ma un giorno la donna ricevette una risposta diversa: “Tu sei molto bella ma Biancaneve è mille volte più bella di te!”. La regina impallidì e, tormentata dalla rabbia e dall’invidia, per giorni non riuscì più a dormire e a mangiare. Alla fine chiese al cacciatore di portarle il cuore della giovane su un piatto d’argento.
Cosa si nasconde dietro la convinzione, ostinata e incomprensibile di vedersi brutti? Quando una preoccupazione per il proprio aspetto fisico smette di essere normale e diviene malattia? La Dismorfofobia sta assumendo una dimensione sociale sempre più evidente, come dimostrato dalla larga diffusione di interventi di chirurgia estetica non più solo tra attrici e modelle ma anche tra persone comuni di tutte le età. Trattamenti che si rivelano spesso frustranti e fallimentari perché si cerca di correggere un presunto difetto fisico invece che intervenire a livello psicologico. Un esempio famoso è Michael Jackson che, cercando di far corrispondere il proprio aspetto al suo ideale estetico, si è sottoposto nel corso di trent’anni a oltre un centinaio di interventi chirurgici...ha sbiancato la pelle, ha innestato degli impianti nelle guance e ha fatto ampio ricorso al botox. Le ripetute operazioni al naso hanno compresso talmente le vie nasali da rendergli difficile la respirazione. Il risultato finale degli interventi chirurgici è stata la quasi totale cancellazione delle caratteristiche fisiche afroamericane originali.
Il dismorfofobico si vede brutto, non gli piace qualcosa, non si riconosce in qualche difetto.
È importante però sottolineare che la bruttezza fisica in realtà non esiste, a dare un’idea della bellezza di una persona non sono solo i tratti del viso o la forma del corpo ma anche l’espressione, la luce degli occhi, come si muove e come parla, ovvero una serie di elementi attraverso i quali il nostro mondo interno si esprime all’esterno e parla di noi. Le persone molto vitali hanno una forza che si può scorgere dalla luce degli occhi o dalla pelle particolarmente morbida e profumata. Quindi la bellezza è sempre complessiva e non risiede mai in un naso o una bocca perfetti, conta l’espressione e il fascino nel suo insieme. Al contrario, se non abbiamo un’identità interna solida può capitare che questa carenza possa emergere all’esterno e farci sentire brutti o effettivamente modificare il nostro aspetto, alterando l’espressione. Quello che invece di certo esiste è la malattia della mente, che può alterare l’espressione del volto e farci apparire o sentire sgradevoli. Nel dismorfofobico, dietro alla paura di essere brutti fisicamente, si nasconde in realtà la paura di essere brutti psichicamente, cioè come esseri umani. Dietro a questa ricerca della bella apparenza, si cela il tentativo di raggiungere un’immagine ideale, legata anche alla paura di avere qualcosa che non va a livello psichico appunto. Spesso poi non sono mai davvero brutte come persone: non si tratta mai di un difetto fisico reale ma di qualcosa che vedono e non gli piace, in cui non si riconoscono. E, in particolare, si tratta di qualcosa legato al proprio mondo interno. Vale la regola generale che “non è il corpo che va adattato a come ci si vede. Semmai è la mente che potrebbe essere da curare”.
La dismorfofobia porta ad un appiattimento delle differenze individuali e alla produzione di bambole tutte uguali. Troppi tentano di cambiare radicalmente il proprio aspetto per ottenere qualcos’altro, invece di curare quello che hanno. La verità è che riuscire a vedere e accettare la propria bellezza è impossibile per chi è caduto nella malattia e ha negato o annullato la propria e altrui realtà interna. Il dismorfofobico si guarda con odio e in questo modo deforma l’immagine, la rende più brutta...prima quindi c’è un sentirsi in un certo modo, poi guardarsi in un certo modo e dopo vedersi in un certo modo: brutti. A causa della negazione si vede brutto perché si guarda con odio e rabbia. In lui la negazione agisce svalutando prima la propria realtà mentale, poi scambiando la realtà mentale con la realtà fisica, fino ad arrivare a pensare che quest’ultima è brutta. Possiamo pensare al famoso romanzo di Oscar Wilde “Il ritratto di Dorian Gray”, nel quale il protagonista, apparentemente bellissimo, dopo aver fatto cose orribili nella vita, si vede bruttissimo nel proprio ritratto, come se fosse uno specchio. Il volto che il dismorfofobico vede non può piacergli proprio perché ha perso un’immagine unificante i singoli elementi. A questa figura vista allo specchio egli cercherà di sovrapporre quella di una cartolina ritoccata, cioè l’ideale di bellezza fisso e arbitrario che pensa di dover raggiungere. Oscilla continuamente tra due atteggiamenti: guardarsi con odio e rabbia, vedersi irrimediabilmente brutto e guardarsi con freddezza, cercando di scorgere quale dettaglio del viso scisso dagli altri vada corretto. Tuttavia, il riversare le attenzioni mentali sull’aspetto fisico protegge il paziente dai vissuti tipici del depresso, quali ad esempio di sentirsi incapace, indegno, stupido; In tal modo il sintomo assume una funzione difensiva. Vedersi brutto può risultare più accettabile di pensare di essere incapace o stupido.
Come Grimilde, la strega di Biancaneve, il dismorfofobico cerca una bellezza immobile, che rimanga sempre uguale nel tempo, ma non è umana una bellezza del genere perché l’essere umano cambia costantemente e la sua bellezza è sempre in movimento cosa che non tollera il paziente. Egli mira a una bellezza statica, fissa, che è quella degli oggetti...ma questo non vale per l’uomo, perché una persona che fa esperienze, cresce e che vive i rapporti con gli altri diventa più bella e intelligente, fino a pensare che possa essere più bella a 40 che a 20 anni... e’ un’immagine bella che fa stare bene chi riesca ad apprezzarla, perché la bellezza è legata al trasparire della realtà interna sul volto.
Solo attraverso la psicoterapia si può ricreare l’immagine interiore, la sanità originaria, che permette un rapporto reale con il proprio aspetto fisico, con la totalità del proprio essere e con gli altri. Per curare la dismorfofobia occorre spezzare la negazione, l’incantesimo malvagio che rende impossibile al paziente di vedersi come realmente è, con le sue possibilità di sviluppo. Può ricreare con la terapia la propria nascita, cioè recuperare la sanità e la fantasia originaria che la malattia aveva leso. Quando ciò accade, a volte viene rappresentato in un sogno, in cui compaiono immagini di nuove nascite, di bambini, di persone che escono dal mare. Questa realizzazione si accompagnerà a un cambiamento progressivo del volto, dell’espressione, dell’armonia del movimento. Infatti, è osservazione comune che molti pazienti, dopo un percorso di cura riuscito, cambiano volto, una luce nuova negli occhi si accompagna adesso a una visione allo specchio affettiva e reale di se.
(Testo “Dismorfofobia, quando vedersi brutti è patologia” L’Asino d’oro edizioni)